domenica 30 aprile 2017

Previsioni cambio Euro Dollaro. Ecco perché puntare sull'euro

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Dopo aver a lungo preconizzato un dollaro sopra la parità con l’euro e non vedendolo sfiorare quella soglia nemmeno al culmine dell’euforia per Trump, Goldman Sachs è tornata a più miti consigli. Qualche giorno fa ha consigliato i propri clienti di chiudere le posizioni al rialzo sul biglietto verde perché le cose sarebbero «cambiate»: la crescita che pareva solo americana è diventata globale, al presidente Donald Trump non piace una valuta troppo forte e la Fed sembra adesso meno falco, ossia meno aggressiva nell’alzare i tassi d’interesse.

Si può osservare che il miglioramento delle condizioni economiche in Cina, Giappone, e soprattutto Europa, non è un fenomeno del mese scorso, poiché è in atto da quasi un semestre; che l’insofferenza di Trump per il dollaro forte non è una novità, dacché è stato eletto, e comunque non è propriamente una prerogativa della politica guidare valute e tassi d’interesse, laddove c’è una banca centrale indipendente.

Infine, non si capisce perché Janet Yellen e soci siano diventati più accomodanti del previsto, visto che il mercato ha da tempo creduto solo in parte al processo di normalizzazione monetaria suggerito dai membri della Fed: i quali pronosticano altri due rialzi dei tassi quest’anno, quando il rendimento del Treasury a 2 anni (all’1,19%, 3 centesimi meno d’inizio anno) ne prevede a mala pena uno. Se l’analisi di Goldman pecca nelle motivazioni, specie nel sostenere una Fed meno aggressiva del previsto o, più correttamente, meno falco di quanto pensasse la banca d’affari americana, le conclusioni sono tuttavia condivisibili: al dollaro è venuta meno la formidabile spinta che, tra dicembre e gennaio, l’aveva portato a 1,04 sull’euro, soprattutto perché, come scrive in un’altra ricerca la stessa Goldman, si sono alquanto ridimensionate le aspettative per le grandi riforme promesse da Trump: forte taglio delle tasse, imposizione di dazi doganali e ingente spesa per infrastrutture.

Con l’affievolirsi dell’euforia che ha dominato Wall Street negli ultimi mesi, ci si dovrebbe pure aspettare una correzione degli eccessi che il «rialzo Trump» ha creato sulla borsa americana, non fosse altro perché sta venendo meno l’azzardo di una netta ripresa dell’inflazione, come dimostra l’andamento dei prezzi al consumo a marzo negli Usa e in Europa. L’altro lato La politica monetaria sembra, invece, proseguire un corso più prevedibile: quello di un progressivo, lento ritorno alla normalità, dopo lunghi anni di misure straordinarie e di tassi a zero e persino negativi in Eurozona e Giappone. Le recenti minute della Fed confermano l’intenzione della banca centrale di liquidare gradualmente la montagna di titoli (4.500 miliardi) acquistati dopo il 2009. Tra i gestori dei grandi hedge fund internazionali (nell’incontro milanese organizzato dalla banca del Ceresio), è pressoché scontata l’ipotesi di una graduale riduzione dell’attivo della Fed: come spiega Al Breach, fondatore di Gemsstock, si procederà dapprima a non reinvestire le cedole maturate, poi con liquidare alla scadenza i titoli a più breve termine (in particolare quelli costruiti sui mutui).

L’obiettivo è far salire il rendimento delle obbligazioni a maggior durata e rendere più fluido un mercato del credito troppo condizionato da anni di misure non convenzionali. E’ un processo che potenzialmente dovrebbe rafforzare il dollaro, se non fosse che anche la banca centrale europea si troverà il prossimo anno ad affrontare un simile problema. Secondo Breach, Mario Draghi potrebbe optare per una soluzione originale, che sa di compromesso tra le esigenze dei paesi periferici come l’Italia e le richieste dei risparmiatori e delle banche tedesche: iniziare sì ad alzare i tassi d’interesse, ma continuando ad acquistare un certo quantitativo di titoli.

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