lunedì 16 marzo 2015

A quando il cambio euro dollaro a 1?

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Adesso, con l’euro scivolato in due sedute a 1,10 sul dollaro, ossia a livelli che gran parte degli economisti preconizzavano per fine 2015, sarà interessante vedere quali nuove previsioni sforneranno gli esperti. Conoscendo l’attitudine degli operatori a piegare la loro visione del futuro alla tirannia del presente (il mercato), non stupirebbe vedere nuovi obiettivi di prezzo a 1, ossia la parità già per i prossimi mesi: con gran soddisfazione di Goldman Sachs, che quel livello per prima aveva additato, sebbene per fine 2016. Non è detto che l’euro non possa scivolare ancora di qualche punto: perché i mercati sono soliti esasperare le tendenze o perché, come ha fatto notare lo strategist di SocGén, gli operatori cercano «disperatamente» di portare l’euro sotto 1,1 per far scattare ancora più pesanti vendite da chi ha scommesso con le opzioni.

Ciò nonostante, ci sono buone probabilità che la valuta comune possa risalire e trovarsi sopra 1,1 per fine anno. Nella seduta di ieri, è stato l’euro a indebolirsi e non il dollaro a rafforzarsi. E che differenza fa? Fa differenza, perché ieri si sono venduti euro non appena Mario Draghi ha fatto capire che non acquisterà titoli con rendimenti negativi sotto la soglia del -0,20% (pari al tasso sui depositi): nella fattispecie Bund a 2 e 3 anni, il cui rendimento, non a caso, è risalito di qualche punto oltre quella soglia. Siccome quel movimento era iniziato 6 giorni fa, si può immaginare che qualcosa fosse trapelato da Francoforte.

Non si può dire invece che il dollaro sia stato acquistato con la stessa veemenza con cui s’è venduto l’euro: perché la valuta americana s’è mossa di poco sullo yen e soprattutto perché, dalla prima mattinata a pomeriggio già inoltrato, dunque ben dopo le parole di Draghi, lo yen s’è mosso in controtendenza con l’euro. Chi opera sulle valute scommette, da un lato, che l’euro s’indebolisca per effetto del quantitative easing della Bce e, dall’altro, che il dollaro si rafforzi perché la Fed alzerà i tassi d’interesse in estate o poco dopo. Il primo fattore è incontestabile, sebbene vada notato che gli effetti dei Qe su tassi e valute si manifestano prima dell’avvio ufficiale dell’operazione (lunedì) per una sorta di “naturale” front running, ossia l’opportunità di precedere l’intervento della banca centrale.

Il secondo è invece molto incerto, perché non è detto che la Fed decida d’invertire rotta alla politica monetaria, in controtendenza con il resto del mondo e con un dollaro che, apprezzatosi del 22% dai minimi di 10 mesi fa, sta creando serie difficoltà alle aziende americane.

Fra due settimane, alla prossima riunione del Fomc, capiremo forse qualcosa di più. Intanto vale la pena di notare come il discorso di Draghi sia stato particolarmente apprezzato dai mercati che, oltre a scommettere contro la valuta, puntano al rialzo dei titoli di Stato dei Paesi periferici. Non a caso, ieri, euro da un lato e i rendimenti di Btp, Bonos e titoli portoghesi dall’altro, si sono mossi in perfetta sintonia. Il messaggio della Bce, nel porre un limite all’acquisto di titoli con rendimento negativo, è suonato a incoraggiamento dell’euro dei “poveri” .

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