mercoledì 25 febbraio 2015

Guerra delle valute. Come investire sul Forex nel 2015

C’era una volta la guerra delle valute. Adesso che il calo di euro e yen spinge al rialzo il dollaro e il franco, nessuno la dichiara. Ma di fatto è ricominciata.

In principio era la Cina. Nella prima metà del decennio passato, le autorità di Pechino erano accusate, soprattutto dagli Usa, di tenere artificialmente basso, con interventi sui mercati, il valore della propria moneta, in una strategia di crescita basata sull’export a buon mercato. Nel 2005, la Cina ha abbandonato l’aggancio al dollaro per lasciare rivalutare, molto lentamente, il cambio. Le accuse degli Stati Uniti, impazienti per il gradualismo eccessivo della Cina, sono riaffiorate qualche anno dopo, anche se Washington ha sempre evitato di dichiarare Pechino un “manipolatore” del cambio, etichetta che avrebbe provocato ritorsioni commerciali.

L’espressione “guerra delle valute” ha fatto irruzione nel lessico della diplomazia economica solo nel 2010, con gli Usa questa volta nella parte dell’accusato. Il suo ideatore è l’allora ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, secondo cui la riduzione a zero dei tassi d’interesse americani e la imponente immissione di liquidità, il cosiddetto “quantitative easing” (Qe), da parte della banca centrale americana (Federal Reserve), per contrastare la recessione, avevano come effetto indiretto la svalutazione del dollaro. Questa provocava un massiccio afflusso di capitali verso i Paesi emergenti, Brasile compreso, facendone salire il cambio e rendendone meno competitive le merci. In altri tempi si sarebbe definita un “svalutazione competitiva”, ma la più colorita espressione di “guerra delle valute” fece ben presto breccia nella discussione.

Anche se nel corso del 2011 la guerra si era placata, il Brasile ha continuato a dichiararsene vittima. Salvo poi lamentarsi, per la ragione opposta, quando, nel giugno del 2013, la Fed ha annunciato che avrebbe progressivamente ridotto lo stimolo monetario, provocando questa volta un deflusso di capitali dagli emergenti. La questione è finita sul tavolo del G-20, che riunisce i grandi Paesi industriali e le maggiori economie emergenti e che ha elaborato una formula per mettere fine alla guerra delle valute, pur senza citarla esplicitamente: le autorità dei singoli Paesi possono adottare politiche monetarie espansive con l’obiettivo di rilanciare le proprie economie, ma non possono dichiarare apertamente di volerlo fare con la svalutazione del cambio. Si fa, ma non si dice.

Avendo sottoscritto la dichiarazione del G-20, tutti i Paesi vogliono evitare di trovarsi sul banco degli imputati per aver rinfocolato i contrasti sui cambi. E così nell’ultimo anno è in corso una sorta di guerra non dichiarata. Il Giappone e l’area dell’euro, le due regioni dell’economia mondiale dove la crescita stenta di più a ripartire e che sono a rischio di deflazione, hanno adottato, in forme diverse, misure di stimolo monetario che hanno l’effetto di rendere le loro valute meno appetibili e, con la svalutazione del cambio, aiutare la ripresa. La controparte di questi movimenti è il dollaro, che stavolta è la moneta che si apprezza di più, anche perché, con la ripresa Usa già avviata, la Fed muove nella direzione opposta.

Con la divisa Usa, sale il franco svizzero, che, in tempi di grande instabilità, attrae capitali in cerca di un rifugio sicuro. Per ora, fra il dollaro da una parte e l’euro e lo yen dall’altra, nessuno ha ancora parlato di una guerra in corso, ma le multinazionali americane, i cui profitti subiscono gli effetti del dollaro forte, hanno cominciato a esprimere malumore. Non passerà molto tempo prima che qualcuno proclami una nuova guerra delle valute.

Fonte: guide Markets

lunedì 23 febbraio 2015

Ig Markets apre il trading Forex alla domenica

Ig, intermediario online inglese operativo anche in Italia, ha aperto al trading domenicale. Tre i nuovi contratti: il Sunday Ftse, il Sunday Germany 30 (Dax) e il Sunday Wall Street (Dow Jones). Le operazioni attive nella settimana rimarranno inalterate e non potranno essere chiuse la domenica, ma si potranno aprire ulteriori contratti per compensare i rischi o aumentare la posizione su uno di essi.

Così, se si ha in carico una posizione rialzista sull’indice inglese Ftse dal venerdì e si vuole immunizzare la posizione è possibile aprire la domenica uno short sul corrispondente contratto Sunday. Ovviamente chi non ha posizioni su quel sottostante può liberamente costruire strategie la domenica. Il trading domenicale sarà possibile dalle 8 alle 22:40. Le posizioni ancora aperte dopo la chiusura domenicale saranno traslate sui contratti ordinari il lunedì senza alcun costo e apriranno secondo gli orari di listino.

Oltre ai contratti indicati si potrà subito fare trading sulle opzioni digitali e sul bitcoin, molto volatili. Eventuali critiche di eccesso di operatività vengono però respinte al mittente. «Scopo principale di questa iniziativa», fanno sapere da Ig, «è consentire al trader di immunizzare le posizioni in occasione di particolari eventi che si verificano nel weekend». Il broker guidato in Italia da Alessandro Capuano è poi un broker globale con clienti di fedi religiose diverse, quindi non sempre il giorno di festa cade di domenica. Il broker infine si sta espandendo in Medio Oriente, per questo i listini aperti saranno quelli di questa area geografica.

Si tratta di Stati islamici con un’operatività ordinaria proprio la domenica. Il trading sarà possibile su indice e azioni, per tutti i clienti. Per le borse del Medio Oriente aperte la domenica può essere utile a questo proposito ricordare quelle più liquide. A svettare è la borsa di Riad (Arabia Saudita) che vale un quarto della piazza tedesca e circa la metà di Piazza Affari. La seconda borsa in ordine di grandezza è quella israeliana, che vale la metà di quella di Riad, e a seguire la piazza del Qatar, che vanta però il primato nell’area del Golfo. Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare le borse di Dubai e di Abu Dhabi sono più piccole poiché valgono solo il 20% di quella di Riad, e lo stesso vale per la borsa del Kuwait. Decisamente più piccola è la piazza egiziana, l’ultima a poter vantare una certa consistenza, mentre le rimanenti, tipo quella di Amman (Giordania) e quella palestinese, non superano lo 0,5% delle più grandi appena citate.

Più in là, è previsto l’avvio del forex domenicale. Tornando sulla decisione di aprire la domenica, non è raro che proprio questo giorno o nel weekend si verificano eventi in grado di cambiare o innescare importanti trend di mercato.

Tutti gli appuntamenti elettorali, per esempio, si verificano proprio nel fine settimana. La decisione di partire da subito è stata presa infatti proprio a inizio 2015 per anticipare una serie di scadenze elettorali previste nell’anno. Le più importanti sono quelle turche di sabato 13 giugno, quelle portoghesi del 27 settembre e infine quelle spagnole del 20 dicembre, anticipate da elezioni amministrative nel Paese iberico a maggio. Tutti ricorderanno, poi, l’impatto sui mercati delle elezioni greche tenute a gennaio, il referendum per l’indipendenza a scozzese del 18 settembre del 2014 e i suoi effetti sulla sterlina e da ultimo la consultazione popolare in Svizzera sulle riserve auree a fine novembre. Tutto successo di domenica.

Gli operatori in questi casi hanno le mani legate e non potevano fin qui intervenire. «I più attenti alle questioni tecniche avranno notato », aggiunge Capuano, «che sono stati introdotti contratti ad hoc per la domenica». L’innovazione consente da un lato di mettere al riparo chi ha posizioni già aperte sui contratti dalle oscillazioni potenziali della domenica. Se si ha una posizione aperta lunga in settimana sul Ftse 100 e il mercato scende in modo significativo, non scatteranno stop loss. Chi vuole coprirsi, però, perché immagina che la tendenza in corso sia destinata a proseguire può farlo. Ig ha poi consentito una terza possibilità: consentire il roll over delle posizioni aperte la domenica sui contratti ordinari che ripartono il lunedì. Nella sostanza evidenzia Ig, «il modello è stato reso il più flessibile possibile ». Il lancio su larga scala del trading domenicale partirà a breve. «I primi risultati sono molto confortanti», spiega Capuano.

La mossa di Ig ha anche una valenza informativa. «Chi vuole essere aggiornato sulla dinamica dei mercati nel weekend», ha commentato Capuano, «oggi deve necessariamente consultare l’informativa e le quotazioni sul sito di Ig». Tornando ai singoli contratti proposti i margini saranno analoghi a quelli dei contratti ordinari, quindi l’indice Sunday Germany 30 potrà essere negoziato con 700 euro di margine per la versione standard e 140 per quella mini. Il Sunday Wall Street girerà a 500 dollari (441 euro) per lo versione ordinaria e 100 (88 euro) per la mini mentre il Ftse 100 infine ha margini pari a 230 sterline (309 euro) per la maxi e 46 per la mini 61 euro. Quanto alle commissioni di negoziazione, come da prassi di Ig non ci saranno mentre gli spread proposti saranno di 7 punti di indice sul Germany 30 e Wall Street e di 5,8 sul Sunday Ftse 100.

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mercoledì 18 febbraio 2015

Previsioni euro-dollaro marzo aprile 2015

previsioni euro dollaro 2015Ci ha pensato il Non Farm Payroll americano a raffreddare gli istinti di rimbalzo dell’euro-dollaro. Il dato macro che calcola la variazione degli occupati nel settore non-agricolo (pubblicato ogni primo venerdì del mese) ha evidenziato una crescita al di sopra del consensus attestando un incremento di 257 mila unità, contro delle previsioni che davano un aumento di sole 230 mila unità.

Il tasso di disoccupazione invece è cresciuto rispetto al mese precedente (quando si era attestato al minimo da giugno 2008), salendo dal 5,6 al 5,7%.

La retribuzione media oraria, sempre a gennaio, è salita di 0,12 dollari a 24,75 dollari. L’impatto sull’euro/dollaro è stato decisamente importante e nell’arco di pochi secondi, il cambio, ha perso circa una figura di valore passando da 1,1450 a 1,1352 dollari. Il movimento è stato talmente violento che si sono venuti a creare dei vuoti di prezzo all’interno dei book. Il movimento ribassista del cambio è continuato poi per il resto della seduta andando a chiudere la settimana di contrattazione a ridosso di 1,1330 dollari. Tecnicamente, per le prossime sedute potrebbe registrarsi un ulteriore flessione del cambio, fino a raggiungere il minimo di 1,1260 dollari che rappresenta un soglia di supporto molto importante. I deboli dati macroeconomici pubblicati in settimana avevano creato delle attese negative. Invece il governo americano è riuscito a creare per il dodicesimo mese consecutivo oltre 200 mila impieghi.

La Federal Reserve monitorerà ancora i fondamentali, ma le attese di un rinvio a settembre 2015 di un rialzo del costo del denaro sono diminuite notevolmente. Il market mover che riuscirà a muovere l’euro/dollaro dalla lateralità che ha contraddistinto gli ultimi dieci giorni è, e rimane, la situazione Grecia. Il paese ellenico, come ben noto, si trova di fronte in grave difficoltà finanziaria e se il suo primo ministro Tsipras non troverà velocemente un accordo con i creditori, l’insolvenza è oramai alle porte. La Grecia ha infatti i mezzi per far fronte al debito di 1,9 miliardi di euro che il 15 marzo dovrà ripagare al Fondo Monetario Internazionale. Stessa condizione anche per gli 1,9 miliardi con scadenza 15 giugno che dovrà ridare sempre al Fmi.

Sarà invece tecnicamente in default con la rata da 3,5 miliardi di euro del 20 luglio per la quale, ad oggi, non ha i mezzi per farvi fronte. Molti, i mezzi diplomatici, messi in campo ufficialmente e non ufficialmente per cercare di fare pressione sulla politica dell’austerity della parte intransigente dei partner europei, con lo scopo di dare il via libera a una rinegoziazione del debito.

Alcuni analisti hanno offerto una chiave di lettura diversa sulla decisione della Bce di chiudere i rubinetti alla Grecia. L’istituto monetario infatti, dal prossimo 11 febbraio, non accetterà più come collaterale di garanzia i titoli di stato della Grecia, in quanto il loro rating è investment grade, inferiore a quello minimo richiesto per queste operazioni. Questa mossa però più che mettere con le spalle al muro la Grecia, mette alle strette i falchi dell’eurozona che si trovano ad un soffio dal perdere un membro dell’unione monetaria.

E uscito un Paese, chi può dire che non ce ne siano altri che lo seguono a ruota? Tutte queste incognite non fanno certo bene alla stabilità della moneta unica. Per le prossime settimane è attesa una forte volatilità sul cambio e nel caso la situazione geopolitica peggiorasse è utile ricordare che gli operatori non hanno assolutamente dimenticato il target ribassista di 1,10 e soprattutto quello di 1,08 dollari. La maggior parte dei trader sui cambi, dopo il forte calo dell’euro/dollaro degli ultimi due mesi, non ha osato shortare la major, tuttavia sono tutti alla finestra pronti a cavalcare una nuova ondata ribassista. Il caso Svizzera ha insegnato però che fattori esogeni possono sempre intervenire e dunque non è detto che per mitigare la tensione per un eventuale uscita dall’0euro della Grecia non arrivi una mossa a sorpresa da parte del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ultimo guardiano della moneta unica.

Attenzione: il caso Svizzera ha insegnato, purtroppo con grosse perdite per i traders, che non basta più un broker forex autorizzato. Occorre che sia anche affidabile ed offra il margin call per evitare perdite disastrose. Apri un conto demo Markets

lunedì 16 febbraio 2015

Previsioni forex con il quantitative easing BCE

Se l’asset class azionaria continua a vivere di luce riflessa in merito alle decisioni sul Qe di Eurolandia, un altro sottostante che trae direttamente forza (o debolezza) da tale aspetto è il mercato valutario. I cambi stanno esprimendo movimenti interessanti da cavalcare, esulando dall’infelice scelta della Snb che ha portato scompiglio sul franco svizzero.

Alcuni cross sia di divise major che di cambi emergenti o secondari evidenziano conformazioni grafiche o tendenze di fondo che possono essere sfruttati, per aver beneficio in termini di diversificazione di portafoglio. Basti pensare che nel corso del 2014 una posizione sull’azionario europeo avrebbe reso ben poco come performance complessiva, mentre un fondo monetario in dollari sarebbe riuscito a generare rendimenti molto consistenti. Tutto non è perduto però, per chi non si fosse fidato di tale driver.

Il rafforzamento del dollaro Usa è generalizzato, a partire per esempio dal rapporto rispetto al dollaro australiano, neozelandese e canadese. Il cross dollaro australiano /dollaro Usa ha evidenziato in settimana la conferma del cedimento dei minimi del 2010, da cui si è subito innescata una decisa accelerazione. Attualmente la migliore occasione per rientrare sarebbe rappresentata da un pull back verso 0,805 dollari, ma non affatto detto che il mercato lo conceda; target per chi non ha fretta verso 0,73-0,735 dollari.

Più speculativa l’accelerazione del cross dollaro Usa/ dollaro canadese, con il dollaro canadese in avvitamento. Il target naturale per la dinamica in atto sembra collocarsi sui massimi del 2009, in prossimità di 1,30 dollari. Mentre per il dollaro neozelandese si osserva un indebolimento meno marcato, ma che presenta interessanti configurazioni grafiche. Il test dei massimi relativi degli ultimi quattro anni è evidente, e oltre 1,40 dollari si può ipotizzare un allungo verso 1,45 dollari prima e 1,50-1,52 dollari successivamente.

Le valute emergenti lira turca e rand sudafricano evidenziano a loro volta criticità rispetto al dollaro Usa. Nel primo caos il test verso 2,40 lire dovrebbe attirare nuovi acquisti, con obiettivo teorico verso 2,60 lire entro l’estate. Mentre il rand sta testando i massimi del 2008 e potrebbe presto dare un ulteriore segnale in caso di superamento di 11,80 rand. In tal caso, obiettivo in area 12,4- 12,5 rand. Passando al contesto europeo, tra i cambi meglio impostati si evidenziano tuttora il dollaro-euro e euro-sterlina.

Le aspettative di Goldman Sachs che stima a 12 mesi un eurodollaro a 1,08 sono coerenti rispetto alla struttura tecnica del sottostante. È quindi vero che il grosso del margine speculativo legato all’uscita dal Qe da parte degli Usa e all’avvio da parte dell’area euro possa essersi già espresso, ma il trend rimane evidentemente al ribasso. Ci si potrebbe quindi attendere una inclinazione della discesa meno marcata rispetto a quanto osservato dall’estate 2014 ad oggi, ma in caso di rimbalzo verso 1,15-1,16 vale la pena giocarsi nuovamente la carta dello short euro.

Molto chiaro altresì il trend della sterlina inglese rispetto alla divisa europea, confermata dal recente cedimento di quota 0,77. Primo target ribassista già raggiunto ma sul medio periodo si può puntare ad una discesa sino ai minimi del 2007, in area 0,715-0,72 sterline. Tra i cross minori si segnala infine il cambio euro-lira turca. Nonostante la recente limatura dei tassi da parte della banca centrale (7,75% attualmente) il trend rimane leggermente a favore della lira. Il livello più interessante per prendere nuovamente posizione si colloca in area 2,82- 2,85 lire, mentre lo spike di volatilità osservato a metà dicembre sembra essersi esaurito.

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lunedì 2 febbraio 2015

Previsioni 2015 su lira turca con petrolio al minimo

Perchè il calo del greggio aiuterà la lira turca
Il decennale governativo paga il 7,19% , la valuta è ritenuta sopravvalutata Inflazione sotto controllo No mancano i rischi Il governativo decennale turco rende il 7,19% un rendimento interessante per i riasparmiatori ma occorre guardare all'inflazione e al rischio cambio per evitare spiacevoli sorprese a fine dell'operazione. Nel 2014 la lira turca, come molte altre valute emergenti e non, si è deprezzata verso il dollaro (-10,1%) chiudendo l'anno a 2,33 lire turche contro dollaro. La stessa tuttavia si è leggermente apprezzata nei confronti dell'euro (+ 2% a 2,82 lire turche contro l'euro).

Quest'anno però c'è un elemento in più da tenere sotto osservazione: in prospettiva, la marcata discesa del prezzo del petrolio potrebbe determinare un sostanziale riduzione del disavanzo corrente e favorire il contenimento delle pressioni inflazionistiche, offrendo così un supporto al cambio che dovrebbe rafforzarsi. Tutto bene, dunque? Non proprio. Il rischio valutario tuttavia permane, considerando che la valuta è ampiamente sopravalutata, anche se oggi appare minore nel breve-medio periodo.

L'Fmi, nel rapporto 2014 sul paese sul Bosforo, ha evidenziato, con riferimento al valore del cambio reale effettivo nel 1° trimestre 2014 (102) un condizione di sopravalutazione dello stesso compresa tra il 10 ed il 20%. Il successivo apprezzamento del cambio reale effettivo (8%) ha accentuato questa condizione di sopravvalutazione.

« L'inflazione della Turchia sta calando rapidamente grazie ad un rallentamento piuttosto ampio dell'aumento dei prezzi e non solo per il calo del prezzo del petrolio a livello internazionale e dei prezzi del settore alimentare a livello locale. Per la prima volta dopo tanto tempo, il tasso di riferimento reale è positivo seppur marginalmente. Le previsioni danno un calo ulteriore dell'inflazione nei prossimi mesi, alimentando così le attese sui tagli dei tassi di riferimento ufficiali», conferma anche Nordea Asset Management.

«Se l'inflazione scende in modo significativo, anche grazie al calo del petrolio, la Banca centrale turca taglierà i tassi di interesse fino a 100 punti base entro la metà del 2015. Comunque sono arrivati 1,6 miliardi di dollari di investimenti stranieri verso i bond turchi alla fine del terzo trimestre 2014. Io suggerisco il bond con scadenza 14 settembre 2022 con un rendimento dell'8.50%», afferma Martin Rea, di UniCredit Research. «L'inflazione a dicembre 2014 era al di sotto del consenso al 8,17% su base annua e ci aspettiamo - prosegue Rea - che continui a scendere al 6, 6 % entro la fine del primo trimestre 2015».

Insomma come ricorda in una nota Mps Capital Service il calo del prezzo del petrolio provocherà «l'apprezzamento delle valute dei paesi importatori di petrolio ( rupia indiana e appunto lira turca) contro il deprezzamento della valute dei paesi produttori ( rublo, corona norvegese)». La regola forse è un po' rozza perché non tiene conto del calo dei possibili tassi di interesse ma alla fine può essere considerata una buona linea di orientamento da seguire in vista di un investimento verso i mercati emergenti.

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