mercoledì 12 novembre 2014

Previsioni sul petrolio. Quota 50 dollari è possibile?

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previsioni prezzi petrolioMentre i consumatori festeggiano la caduta dei prezzi del petrolio, la sua eventuale progressione e la sua durata agitano una serie di spettri sullo scenario internazionale. Prima di affrontarli, è necessario cercare di capire se la crisi è destinata a durare oppure no.

Per quanto avessi anticiPato nel 2012 quanto sta accadendo, non ho una sfera di cristallo: posso solo osservare che i motivi per cui indicai la possibilità di una caduta che nessuno pensava possibile sono ancora lì. La capacità produttiva mondiale di petrolio è cresciuta troppo, mentre la domanda ha continuato a crescere poco. Si è così creato un forte sbilanciamento che, a breve, è difficile da compensare.

Sarebbe necessario un forte rimbalzo dei consumi mondiali o un’azione decisa da parte dei grandi produttori, a partire da quelli riuniti nell’OPEC, ma entrambe le opzioni sono poco probabili per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare in un breve commento. Altrettanto improbabile è una brusca interruzione del super-ciclo di investimenti che ha fatto lievitare la capacità produttiva, sia perché chi ha già speso buona parte del proprio budget continuerà a spendere per arrivare rapidamente a recuperare quanto ha già investito, sia perché una compagnia petrolifera – nella maggior parte dei casi - non può tagliare nottetempo i suoi investimenti senza il consenso del governo del Paese in cui opera, che non è così facile da ottenere. Difficile, inoltre, è che gli Stati Uniti riducano la loro produzione di petrolio, la cui impennata è stato il fattore più importante nell’aumento della capacità produttiva mondiale. La rivoluzione dello shale oil - seguita a quella dello shale gas - procede a passo impetuoso e, soprattutto, a costi che si riducono di anno in anno. Così, gran parte del nuovo greggio americano è capace di resistere a prezzi inferiori ai 65 dollari a barile. In queste condizioni, è possibile che il prezzo del petrolio scenda ancora, e potrebbe perfino precipitare se il panico si impossessasse del mercato. Solo in questo caso, cioè dopo una caduta verticale sui livelli inferiori a 60 o 50 dollari, sarebbe probabile una reazione forte sia della domanda mondiale, sia dei Paesi produttori e delle compagnie petrolifere. In altri termini, un vero collasso dei prezzi è possibile, ma avrebbe una durata limitata. Che il collasso si verifichi o no, una caduta prolungata dei prezzi dell’oro nero getta ombre lunghe sulla stabilità di alcuni Paesi critici per l’ordine mondiale.

Partiamo dalla russia, richiamando un elemento storico di solito trascurato. Negli ultimi 40 anni, la fortuna (o il declino) dei leader russi è andata di pari passo con i prezzi del petrolio. È stato così per l’ultimo Breznev, per Gorbaciov, per Eltsin e infine per Vladimir Putin che, grazie al volo dei prezzi del greggio (e del gas, legati al petrolio nei contratti di esportazione), ha potuto contare su stabilità e grande consenso interno. Ma ora che la maledizione dei prezzi calanti si ripresenta, lo stesso Putin avrà maggiori motivi di preoccupazione interna. Nel 2013, petrolio e gas hanno garantito oltre il 50 percento delle entrate statali russe, per le quali ogni calo di un dollaro del prezzo del greggio implica una perdita di 1.7 miliardi di dollari su base annuale. In linea teorica ciò significa che, se i prezzi rimanessero quelli di adesso, Mosca disporrebbe di quasi 50 miliardi di dollari in meno nel 2015, a cui si aggiungono altri 10-15 miliardi dovuti alle rinegoziazioni dei contratti del gas, su un budget di entrate (base 2014) di 400 miliardi di dollari. Un salasso micidiale, che unito alle sanzioni determinate dalla crisi Ucraina potrebbe aumentare esponenzialmente il malcontento verso Putin e spingere quest’ultimo a atteggiamenti più aggressivi sul piano interno e internazionale per sedare e mascherare i problemi interni.

I Prezzi del Petrolio in caduta, inoltre, potrebbero infiammare più di quanto non lo sia già la situazione dell’intero Medio Oriente e del Golfo Persico, partendo da due Paesi chiave di quello scacchiere: Arabia Saudita e Iran. Entrambi hanno abusato dell’abbondanza portata dal caro-petrolio per sussidiarie qualsiasi iniziativa sociale o consumo interno, in modo da contenere e confinare il malessere di popolazioni sempre più giovani (circa il 70 per cento delle popolazioni dei due Paesi è costituita da giovani sotto i 24 anni). Con l’avanzata del terrore islamico alle porte, il venire meno di introiti miliardari per Paesi in cui il petrolio genera tra il 60 per cento (Iran) e l’80 (Arabia Saudita) delle entrate statali potrebbe fare da detonatore per tensioni fino a oggi represse o sopite. E questo vale anche per altri Paesi del Golfo. Mi fermo qui per non agitare altri spettri, che non mancano.

Puoi investire sul petrolio al rialzo o al ribasso con i cfd di Markets.

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