martedì 21 ottobre 2014

Lo scontro Fed Bce influenza il cambio euro dollaro

Il cambio euro dollaro è sempre difficile da prevedere per il fatto che, oltre a variabili finanziarie, è fortemente influenzato da variabili politiche. Riporto questo articolo di Libero che illustra le forze in gioco.

Se Stati Uniti ed Eurozona, in sostanza  Fed e Bce,non inizieranno a parlarsi per trovare una convergenza sul cambio dollaro euro aumenterà il rischio di una destabilizzazione globale preceduta, e forse innescata, da una depressione nella regione europea. La svalutazione dell’euro è l’unica azione efficace nel breve termine per dare un po’ di crescita e reflazione all’Eurozona. Ma l’America non vuole che il dollaro si alzi troppo sull’euro.

Le cronache enfatizzano l’opposizione della Germania alla politica svalutativa avviata dalla Bce. Ma è molto più rilevante quella della Fed. La Germania può abbaiare ed ostacolare, ma non impedire. E Draghi lo ha dimostrato. L’America e la Fed, in quanto signori del dollaro che è la moneta di riferimento mondiale, hanno il potere di impedire. Per tale motivo sarebbe inefficace la semplice soluzione di vendere tonnellate di euro contro dollari fino a portarne il cambio, prima per un breve periodo vicino al rapporto 1 a 1, per poi stabilizzarlo attorno alla parità del potere d’acquisto (1,16dollari per 1 euro, circa). L’America avrebbe il potere di annullare questa mossa per la maggiore capacità di influenzare i flussi globali di capitale che determinano i cambi.

Per questo mi chiedo se sia possibile un compromesso. Per inquadrarlo bisognerebbe capire cosa veramente vogliano la Fed e l’Amministrazione Obama. La Fed, infatti, sta mostrando posizioni ambigue. Il Pil sta crescendo oltre il 3%,ma la Fed ha comunicato la preoccupazione di una crescita insufficiente per riassorbire la disoccupazione. Poiché la disoccupazione sta scendendo sotto il 6%, obiettivo precedente il cui raggiungimento avrebbe implicato una riduzione delle politiche espansive che deprezzano il dollaro, la Fed ha deciso che bisognava guardare al tasso di occupazione (cioè a quanta gente ha rinunciato a cercare lavoro) come riferimento principale.

Sembra una scusa per lasciare a zero il costo del denaro senza termine,cosa che impatta in basso sul cambio. Se non è una scusa, comunque la Fed ha vistosamente rinunciato allo strumento da essa stessa ritenuto essenziale per la governance del sistema finanziario, cioè la "forward guidance" (dare riferimenti futuri precisi al mercato). E ciò segnala un’anomalia vistosa. Confermata qualche giorno fa quando la Fed ha fatto indirettamente filtrare che potrebbe riprendere il programma di acquisto di titoli di Stato (QE) che è cessato perché non più necessario .

Ma la perla è l’aver tentato di far credere che un dollaro troppo alto potrebbe creare deflazione in America. Incompetenza della neo-governatrice Yellen, economista di sinistra sospettabile di "populismo monetario", cioè di prendere troppi rischi sul lato dell’inflazione? Non credo. Annuso, invece, un patto politico: per essere nominata in quella posizione da Obama (a fine 2013)e confermata dal Congresso con forte influenza della sinistra non possiamo escludere che questa rimarchevole signora, in cambio, abbia riservatamente promesso al Partito democratico di tenere una politica monetaria inflazionista ad oltranza, nonché il dollaro basso, per favorire una crescita drogata a favore del consenso alla sinistra. Se così fosse, potremmo sperare che dopo le cruciali elezioni di medio termine, a novembre, la pressione politica si riduca, permettendo, alla fine, al dollaro di rivalutarsi e all’euro di scendere come dovrebbero. Ma quello detto è solo un fattore.

Ce ne sono anche di tecnici. La Fed ha paura che il rientro dalla politica monetaria espansiva, alzando il costo del denaro, faccia crollare le Borse. Queste sono cresciute solo grazie alla pompa di capitale fatta dalle Banche centrali (americana, inglese, nipponica,meno la Bce) e se finisse prima del consolidamento della ripresa il rischio ci sarebbe. Ma c’è anche il fatto che gli attori finanziari non vogliono rinunciare alla cuccagna e ricattano la Fed tirando giù le Borse, normale. Anormale è che la Fed si faccia ricattare. La Fed potrebbe aver ragione su un punto:unrialzotroppoforte e rapido del dollaro metterebbe in grave difficoltà le nazioni, per lo più emergenti, che si sono indebitate in dollari, con il rischio di una tempesta globale, e ciò deve far pensare.

Ma il pensiero risultante è che se Fed e Bce convergessero: (a) potrebbero accordarsi su oscillazioni di cambio non traumatiche; (b)potrebbero, insieme, resistere meglio ai ricatti del mercato finanziario; (c) potrebbero collaborare per tenere sostenuta la pompa di capitale utile per le Borse, ma anche sostenibile; (d) soprattutto, se l’Eurozona in trappola del cambio andasse in depressione- deflazione grave la Fed ed il governo americano non avrebbero strumenti per evitare di importare una mega crisi. In conclusione, un compromesso salverebbe ambedue. E noi.

mercoledì 15 ottobre 2014

Previsioni sul dollaro neozelandese fine 2014

dollaro nuova zelandaPotrebbe essere pronto a ripartire al ribasso il cambio del dollaro neozelandese contro il dollaro americano. Il cosiddetto Kiwi, questa settimana, è uscito dalla fase di consolidamento che ha registrato il cambio dopo il raggiungimento del supporto di medio periodo a 0.7710 dollari.

Nel dettaglio, lo scorso giovedì, il dollaro neozelandese ha registrato una seduta di apprezzamento abbastanza importante che ha fatto raggiungere quota 0.7975 dollari al cambio, livello corrispondente al ritracciamento della rottura di una trend line rialzista. Dopo aver registrato il pull back, il cambio nella seduta di venerdì è rapidamente tornato a scendere per andare a chiudere l’ottava a ridosso di 0.7840 dollari.

Nonostante l’alto livello di rischio, molti operatori hanno puntato i loro portafogli su un ulteriore ribasso del cambio con target veramente molto ambiziosi. Si parla infatti di area 0,74 dollari dove risiedono numerosi minimi relativi passati. L’eventuale conferma per un target tanto importante, rimane comunque la rottura al ribasso del supporto di breve a 0,7709 dollari.

Come già anticipato sopra, il rischio/rendimento dell’operazione è interessante. Se l’obiettivo è portare a casa 4 figure (400 tick), lo stop loss si posiziona poco al di sopra della resistenza di breve formata dal minimo relativo del 4 febbraio 2014 e quindi a circa due figure sopra l’attuale quotazione a 0,8080 dollari. Quindi si rischia due per portare a casa quattro (probabilità di uno a due). Il ribasso, oltre che tecnicamente, potrebbe essere supportato a livello fondamentale dalla Nuova Zelanda. Non è un segreto infatti che le autorità di politica monetaria del paese considerino l’attuale quotazione del dollaro neozelandese contro il dollaro americano troppo alta, danneggiando così le esportazioni (e l’economia) del paese.

Negli ultimi due mesi il Kiwi ha lasciato sul terreno oltre 11 punti percentuali. Secondo il governatore della banca centrale neozelandese (Rbnz) Graeme Wheeler, nonostante il recente crollo dei prezzi, il livello raggiunto dalla valuta neozelandese è ancora «ingiustificato e insostenibile». La Rbnz si è così detta pronta a intervenire per correggere questa presunta anomalia sul cambio, con interventi diretti sui mercati valutari. Ma non finisce qui. Il primo ministro ritiene che il Kiwi valga 0,67 dollari, il che significa che rispetto ai valori correnti ci sarebbe quindi spazio per un ulteriore deprezzamento della valuta del 15% circa. Il calo del dollaro neozelandese potrebbe inoltre essere accelerato dalle intenzioni della Fed di rialzare a breve i tassi d’interesse americani.

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lunedì 13 ottobre 2014

Strategie segrete forex per fine 2014

All’interno di una fase sempre più delicata per il contesto azionario, identificare opportunità di investimento risulta sempre più difficile. Il sentiment sta infatti svoltando verso il basso per gli asset rischiosi, compresi i bond societari con rating inferiore, che tante soddisfazioni hanno offerto negli ultimi anni. La compressione dei rendimenti, tanto in termini nominali, per i bond governativi, che sugli spread di credito negli high yield, sembra ormai a un punto di svolta, non proprio a favore di chi gioca solo la carta del rialzo del prezzi dei bond. Un’asset class alternativa ad azioni e obbligazioni sono le materie prime, ma anch’esse attualmente patiscono aspettative negative, a causa dell’economia che cresce molto meno delle aspettative. I movimenti dei tassi di cambio rappresentano quindi un’opportunità più che valida, soprattutto considerando la scarsità di temi alternativi.

Uno dei cambi di riferimento cui tutti guardano resta l’euro- dollaro, peraltro molto ben impostato in termini di trend al ribasso. La chiamata su una posizione lunga sul dollaro, a scapito dell’euro, è giunta da tempo, nel momento in cui è divenuta palese la divergenza di politiche monetarie tra la Fed e la Bce. Non tutto è perduto però per coloro che sono rimasti fuori dal trade del 2014. Il recente rimbalzo verso 1,275-1,28 (perfetto pull-back dopo la rottura ribassista di tale soglia) ha permesso infatti di ricostruire posizioni rialziste sul dollaro, con aspettative di nuovo test verso quota 1,25, sotto il quale il successivo punto di arrivo si colloca in area 1,23-1,2350 dollari.

In termini di rendimenti sulle medie scadenze Usa si segnala in questi giorni un forte movimento al ribasso, che potrebbe però essere presto riassorbito e successivamente riprendere il percorso al rialzo, sostenendo ulteriormente la valuta americana. Un altro trade valutario avallato sia dai fondamentali che dall’analisi tecnica interessa il cross euro-sterlina inglese. L’uscita dalle politiche monetarie non convenzionali è ormai un dato di fatto anche per il Regno Unito, e la sterlina ne approfitta dirigendosi verso i minimi degli ultimi sei anni. Tecnicamente si suggerisce di posizionarsi al ribasso in caso di recupero verso 0,795, con spazi di successivo test verso 0,775 sterline. Sotto questo livello i successivi obiettivi si posizionano a 0,755 sterline prima e 0,74 sterline circa in seconda battuta.

Uscendo dai cambi di riferimento, il cross tra l’euro e la lira turca è ancora una buona opportunità in termini di carry trade. La stabilizzazione della divisa emergente non sembra compromessa, e il livello di guardia oltre il quale potrebbero arrivare brutte notizie per chi punta al rialzo scatterebbe solo oltre 2,95-2,97 lire turche. Per ora tale resistenza è a distanza, e considerando i rendimenti piuttosto elevati che gli investimenti a breve offrono, resta una valida opportunità per l’investitore europeo. Uscendo dal contesto Ue, il cross dollaro Usa-corona norvegese mantiene un solido trend al rialzo, a favore della valuta americana. Il superamento dei massimi dal 2011, a ridosso di 6,30 corone, ha offerto un altro spunto direzionale, permettendo subito un forte allungo. Potenzialità di crescita sino a 6,70 corone nel medio periodo.

Infine, si conferma il rialzo dello yuan contro il dollaro. La volatilità dei primi mesi del 2014 è stata assorbita, e il movimento principale è tornato rialzista, anche grazie alla sempre più elevata apertura ai capitali mondiali del mercato azionario interno. Possibile un test verso 6,05-6,07 yuan per fine anno.

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mercoledì 1 ottobre 2014

Previsioni cambio euro dollaro ottobre dicembre 2014

previsioni dollaro usaIn 5 mesi l’euro ha perso l’8,6% nei confronti del dollaro. Un'enormità per chi ha sfruttato le previsioni tramite la leva ottennedo guadagni a 2-3 cifre. Una tale caduta si era verificata solo due anni fa.

Due anni fa gli andamenti della finanza pubblica di diversi Paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, erano davvero fuori controllo, e la prospettiva di un ritorno alle valute nazionali, con tutte le conseguenze prevedibili sui sistemi finanziari dei Paesi membri, avevano reso la moneta unica una delle valute più rischiose del mondo e soprattutto più esposte agli attacchi della speculazione internazionale.

Oggi una discesa dell’euro da 1,38 a 1,27 contro il dollaro viene invece salutata con sollievo, considerato che l’economia di tutta l’Eurozona, e non solo dei Paesi periferici, ha il fiato sempre più corto, anche in Francia e in Germania, il nocciolo duro di Eurolandia. Al di là del Reno la produzione sta perdendo colpi, e le aspettative degli imprenditori sono sempre meno ottimiste, come evidenziato dall’autorevole istituto Ifo, il cui indice, ora a quota 104,7, è ai minimi dal 2009. Nel frattempo Oltralpe peggiora sempre più il disavanzo pubblico in relazione al pil e lo stesso prodotto lordo segna il passo.

Tutto ciò mentre a Bruxelles ha ancora un forte peso il partito del rigore, che si oppone all’adozione di politiche fiscali espansive come soluzione alla crisi, e che ha i massimi esponenti nel nuovo Commissario Ue agli Affari economici ed ex primo ministro finlandese, Jyrki Katainen, e nel presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Come conciliare il rigore nella spesa pubblica con l’esigenza di stimolare la crescita? Con le esportazioni.

Ecco perché l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro (gli Usa sono ancora il principale mercato di sbocco per i prodotti dell’Eurozona), è visto in modo molto favorevole. Peraltro, gli economisti lo auspicavano da molto tempo.

Ma è tutt’altro che scontato che l’attuale ribasso dell’euro, e più in generale il rafforzamento del biglietto verde, sia un fenomeno duraturo. «Non dimentichiamoci del differenziale di inflazione esistente tra Usa ed Europa (circa l’1,7%, ndr)» sottolinea Mario Spreafico, direttore investimenti per l’Italia di Schroders private banking. Intanto l’impennata del biglietto verde è frutto di due sorprese, una brutta, per l’Eurozona, e una bella, per gli Stati Uniti.

«Indicatori economici migliori del previsto Oltreoceano hanno coinciso con un inaspettato rallentamento dei prezzi nell’Eurozona » spiega Asmara Jamaleh, analista dei mercati valutari di Intesa Sanpaolo. In Eurolandia, a fine agosto l’indice dei prezzi al consumo è risultato dello 0,4% su base annua (contro lo 0,6% nel trimestre precedente), quando le previsioni indicavano un aumento dello 0,7%. Sembra poco, ma una lettura inferiore di quali la metà alle previsioni indica che per l’area euro la caduta in deflazione sta diventando più di una possibilità.

Per questo la Bce ha risposto con il taglio dei tassi allo 0,05%. Che all’atto pratico non è molto efficace, ma comunque invia ai mercati il segnale che l’istituzione non è inerte di fronte al fenomeno. Intanto al di là dell’Atlantico, malgrado un calo del 18% degli ordini di beni durevoli in agosto, è risultato più in salute del previsto il mercato del lavoro, «quello a cui i mercati finanziari sono più sensibili, perché è la bussola della Fed» aggiunge Jamaleh.

Giovedì 25 settembre le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono aumentate di 12 mila unità. Il dato è inferiore alle previsioni, ma soprattutto è il più basso dal 2000. Nel frattempo è stato rivisto al rialzo il pil nel secondo trimestre al +4,6 dal +4,2% preliminare, che indica come l’economia americana stia uscendo dalle secche della stagnazione, e che quindi la banca centrale possa anche anticipare l’aumento dei tassi.

Tuttavia non sono unanimi le opinioni degli operatori su quanto la Fed sia disposta ad accettare un superdollaro, che certamente comporterebbe problemi per l’export. «Molto dipenderà dai nuovi dati sul mercato del lavoro negli Usa attesi per fine settimana» aggiunge Jamaleh. Se i segnali inviati dall’economia fossero ancora positivi, il dollaro potrebbe avviarsi con decisione verso quota 1,25 o anche 1,23. E se il biglietto verde dovesse proseguire nel rialzo, allora la Fed potrebbe anche rinviare di alcuni mesi il rialzo dei tassi, oggi in programma per fine giugno del 2015.

Ma per gli Usa è davvero un male il superdollaro nell’attuale situazione geopolitica? «Oggi gli Stati Uniti sono più disposti ad accettare una valuta forte, perché sosterrebbe le esportazioni delle altre aree del mondo, stimolando lo sviluppo globale e riducendo le tensioni politiche nelle aree periferiche», spiega Andrea Delitala, strategist della banca svizzera Pictet. Tradotto, un maggiore sviluppo nel mondo spunta le armi dei terroristi. «E non si pensi che la Yellen sia del tutto indipendente da Obama».

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